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Opposizione a decreto ingiuntivo e mediazione civile

Con la sentenza n. 19596 del 18 settembre 2020 le Sezioni Unite si sono pronunciate sull’oramai vexata quaestio relativa al soggetto tenuto a introdurre il procedimento di mediazione a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo e alle conseguenze del mancato esperimento del tentativo.

Ebbene, la Suprema Corte ha affermato che “nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione del decreto, l’onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1 bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo”.

Si tratta di un principio di massima importanza, con cui il Collegio ha rovesciato la precedente impostazione fatta propria dalla sentenza n. 24629/2015 della III Sezione Civile, la quale affermava che nei procedimenti di opposizione a decreto ingiuntivo l’onere di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione fosse a carico della parte opponente.

Come è noto, secondo l’art. 5, comma 4, del D.Lgs. n. 28/2010, i commi 1 bis e 2 della medesima disposizione, che prevedono, rispettivamente, la mediazione obbligatoria ante causam e la mediazione delegata dal giudice per le cause già pendenti, non si applicano “nei procedimenti di ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”.

La ratio è evidente: lo svolgimento della procedura di mediazione è incompatibile con le peculiari caratteristiche del procedimento monitorio, caratterizzato dalla rapidità e dall’assenza di un preventivo contraddittorio.

Allo stesso modo la mediazione mal si concilia con il procedimento di opposizione, il quale deve essere introdotto entro il termine di cui all’art. 641 c.p.c.

Il tentativo di mediazione, quindi, può e deve essere esperito in seguito all’introduzione del giudizio di opposizione e, comunque, dopo l’adozione dei provvedimenti sull’esecutività del decreto ingiuntivo.

Fermo restando che il mancato esperimento della mediazione comporta l’improcedibilità della domanda giudiziale, si è assai discusso in dottrina e in giurisprudenza in ordine a quale sia il soggetto gravato dall’onere di promuovere la mediazione, ovverosia chi abbia l’interesse tra opponente e opposto a evitare la declaratoria di improcedibilità.

In proposito si erano formati due distinti orientamenti contrapporsi.

Secondo un primo indirizzo, che tendeva a valorizzare risalenti orientamenti relativi all’oggetto del giudizio di opposizione, inteso come una prosecuzione della fase monitoria (cfr. Cass. n. 18707/2014; Cass. n. 19120/2009, secondo cui sussisterebbe un unico procedimento pendente sin dal momento del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo), la declaratoria di improcedibilità avrebbe ad oggetto la domanda sostanziale proposta in via monitoria.

Pertanto l’opposto – formalmente convenuto nel giudizio di opposizione, ma attore sostanziale – sarebbe il titolare della pretesa azionata, risultando quindi lui ad avere l’onere di promuovere il tentativo di mediazione, subendo altrimenti la declaratoria di improcedibilità della domanda e il venir meno della pretesa sostanziale attivata in via monitoria.

Ragionando diversamente si finirebbe con il creare uno squilibrio ai danni del debitore, che non solo subisce l’ingiunzione di pagamento a contraddittorio differito, ma nella procedura successiva alla fase sommaria verrebbe, altresì, gravato di un onere che nel procedimento ordinario non spetterebbe a lui.

Tutto ciò, per di più, in ragione di una semplice scelta discrezionale del creditore (cfr. Trib. Cuneo, 1° ottobre 2015; Trib. Ferrara, 7 gennaio 2015; Trib. Varese, 18 maggio 2012).

Secondo il diverso orientamento, in ragione della scarsa chiarezza delle espressioni letterali utilizzate dal legislatore e con l’intento di valorizzare la particolare disciplina giuridica del giudizio di opposizione, si è ritenuto che la mancata mediazione comportasse l’improcedibilità dell’opposizione, con il conseguente passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo opposto (cfr. Trib. Pavia, 12 ottobre 2015; Trib. Firenze, 30 ottobre 2014; Trib. Rimini, 5 agosto 2014; Trib. Prato, 18 luglio 2011).

A questa conclusione era giunta la III Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 24629/2015.

Il ragionamento della Corte era incentrato su diverse considerazioni relative alla natura deflattiva del procedimento di mediazione, nonché alla particolare struttura del procedimento di opposizione (che può comportare in tempi brevi un accertamento definitivo) e alla ravvisata opportunità di porre l’onere di introdurre la mediazione a carico della parte che ha l’effettivo interesse ad un accertamento nel merito.

Questa impostazione non è stata accolta in modo unanime dalla giurisprudenza, che anche dopo il 2015 ha continuato a esprimersi secondo il principio opposto.

Le Sezioni Unite hanno ritenuto di non confermare l’orientamento inaugurato dalla III Sezione, evidenziando in primo luogo proprio il dato letterale del D.Lgs. n. 28/2010.

L’art. 4, comma 2, della norma stabilisce, infatti, che “l’istanza deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa”, risultando quantomeno “curioso, quindi, ipotizzare che l’opponente, cioè il debitore – ossia chi si è limitato a reagire all’iniziativa del creditore – sia costretto ad indicare l’oggetto e le ragioni di una pretesa che non è la sua”.

Quanto precede trova conferma nell’art. 5, comma 1 bis, dello stesso decreto, secondo cui “l’obbligo di esperire il procedimento di mediazione è posto dalla legge a carico di chi intende esercitare in giudizio un’azione, e non c’è alcun dubbio che tale posizione sia quella dell’attore, che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è il creditore opposto (c.d. attore in senso sostanziale)”.

A ciò può aggiungersi che ai sensi del comma 6 del citato art. 5 “dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale”, impedendo, altresì, per una sola volta la decadenza.

Non risulta quindi logico che un effetto favorevole all’attore, come l’interruzione della prescrizione, si determini grazie a un’iniziativa assunta dal debitore.

Le Sezioni Unite hanno sottolineato inoltre che, instaurata l’opposizione e sciolto il nodo della provvisoria esecuzione, “non ha più rilievo che il contraddittorio sia differito; e dunque appare più conforme al sistema, letto nella sua globalità, che le parti riprendano ciascuna la propria posizione, per cui sarà il creditore a dover assumere l’iniziativa di promuovere la mediazione”.

D’altra parte, è principio consolidato che l’opposizione a decreto ingiuntivo non rappresenti l’impugnazione del decreto, ma abbia “natura di giudizio di cognizione piena che devolve al giudice dell’opposizione il completo esame del rapporto giuridico controverso, e non il semplice controllo della legittimità della pronuncia del decreto d’ingiunzione” (cfr. Cass. SS.UU. n. 19246/2010).

Dal punto di vista sistematico la Corte ha evidenziato che l’opzione ermeneutica prescelta risulta meno gravosa, in quanto “se si pone l’onere in questione a carico dell’opponente e questi rimane inerte, la conseguenza è che alla pronuncia di improcedibilità farà seguito l’irrevocabilità del decreto ingiuntivo; se l’onere, invece, è a carico dell’opposto, la sua inerzia comporterà l’improcedibilità e la conseguente revoca del decreto ingiuntivo; il quale ben potrà essere riproposto, senza quell’effetto preclusivo che consegue alla irrevocabilità del decreto”.

Questa conclusione trova conforto nel dato normativo che attribuisce al decreto ingiuntivo l’attitudine a divenire definitivo, ma solo in seguito alla mancata opposizione ex art. 647 c.p.c., ovvero per l’estinzione del processo di merito ai sensi dell’art. 653 c.p.c., ma non certo nel caso in cui – manifestata la volontà di opporsi al pagamento con l’unico strumento riconosciuto dall’ordinamento – l’opponente non introduca un procedimento stragiudiziale di risoluzione della controversia.

Sotto altro aspetto, si evidenzia che la procedura di mediazione ha senz’altro finalità deflattiva e che tale funzione è senz’altro in armonia con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo.

Si tratta, tuttavia, di un principio che può confliggere con la garanzia del diritto di difesa, la quale deve prevalere.

La giurisprudenza costituzionale, infatti, più volte è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della c.d. giurisdizione condizionata, sottolineando che il previo adempimento di oneri ai quali il ricorso al giudice è subordinato, non può che essere sottoposto a precisi limiti.

In particolare devono ritenersi illegittime tutte quelle norme che collegano al mancato previo esperimento di rimedi stragiudiziali la conseguenza della decadenza dall’azione giudiziaria.

La pronuncia delle Sezioni Unite, per quanto distante dall’approccio pratico a cui molti operatori del diritto hanno aderito, rappresenta un significativo approdo a cui uniformarsi, non solo per l’autorevolezza della fonte, ma anche per l’indiscutibile coerenza con il dato normativo, costituzionale e sostanziale.

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