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Locazione “a canone vile” e processo esecutivo

La locazione “a canone vile” si realizza più spesso di quanto si possa pensare. I motivi sono tanti, ma principalmente riguardano la prassi in uso tra locatori e conduttori di indicare in contratto un importo del canone diverso da quello effettivamente corrisposto.

Ai sensi dell’art. 2923 c.c. si definisce vile il canone inferiore di un terzo al giusto prezzo o a quello risultante da precedenti locazioni.

In questo caso, precisa la norma, ove la locazione sia stata stipulata in data anteriore al pignoramento, essa non è opponibile all’aggiudicatario (“non deve essere rispettata”), così come non è opponibile alla procedura o ai creditori che ad essa danno impulso.

Ciò deriva da un motivo di ordine pubblico processuale, ovverosia dall’interesse della collettività al rituale sviluppo del processo esecutivo, che impone l’anticipazione degli effetti favorevoli dell’aggiudicazione e del decreto di trasferimento, col peculiare regime di efficacia “ultra partes” di quest’ultimo.

L’inopponibilità della locazione è rilevabile d’ufficio ed è pienamente legittima l’emanazione diretta, da parte del giudice dell’esecuzione, dell’ordine di liberazione.

Questo ordine può essere attuato dal custode senza la necessità di munirsi preventivamente di un titolo giudiziale conseguito in sede cognitiva, avvalendosi delle stesse inopponibilità previste per l’aggiudicatario.

Resta ferma la possibilità per gli altri soggetti coinvolti o pregiudicati dal provvedimento di trovare tutela avvalendosi dello strumento dell’opposizione agli atti esecutivi.

Queste conclusioni trovano conforto nella recente sentenza n. 9877 del 28 marzo 2022 della Corte di Cassazione, nella quale il Collegio ha ricordato come l’ordine di liberazione del bene immobile oggetto di espropriazione rappresenti una figura di recente elaborazione giurisprudenziale, successivamente recepita dal legislatore, quale fondamentale strumento per conseguire le migliori condizioni possibili di negoziabilità del bene pignorato.

Nonostante la sua disciplina sia stata caratterizzata da frequenti e talvolta contraddittori interventi normativi, l’attuale esplicita regolamentazione dei casi e dei tempi in cui l’ordine di liberazione è escluso nei confronti del debitore che vive nell’immobile espropriato, rende evidente che esso sia oramai la regola generale nelle espropriazioni immobiliari, in quanto funzionale al loro ordinato e proficuo sviluppo. Questa esigenza pubblicistica legittima la descritta potestà ordinatoria del giudice chiamato a dirigere il processo espropriativo, nel quale – com’è noto – si persegue lo scopo di giungere non solo alla giuridica, ma anche alla materiale estrazione dal patrimonio del debitore del diritto staggito, che senza gli effetti descritti potrebbe essere frustrata.

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