Com’è noto, con il decreto legge n. 11 dell’8 marzo 2020, il Governo ha introdotto “misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria”.
La norma ha il chiaro scopo di congelare il più possibile la vita dei tribunali, nell’attesa che il contagio diventi meno dilagante e pericoloso per la salute pubblica.
Il decreto, il quale è entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, si apre ponendo immediatamente due regole riguardanti i processi civili e penali.
In particolare, l’art. 1 prevede al primo comma che “a decorrere dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 22 marzo 2020 le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari, con le eccezioni indicate all’articolo 2, comma 2, lettera g), sono rinviate d’ufficio a data successiva al 22 marzo 2020”.
Il secondo comma, invece, introduce la sospensione dei termini processuali, stabilendo che “a decorrere dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 22 marzo 2020 sono sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti indicati al comma 1, ferme le eccezioni richiamate. Ove il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine di detto periodo”.
Ebbene, l’oggetto di questo studio è la sospensione dei termini processuali, la quale, vuoi per la delicatezza dell’argomento, vuoi per l’urgenza delle decisioni da prendere nell’ambito dei singoli procedimenti, ha dato adito a dubbi interpretativi, che è bene affrontare immediatamente.
La prima interpretazione emersa, che con una battuta ho già definito masochistica, vuole che la sospensione si riferisca solo agli atti relativi ai giudizi per i quali ci sarebbe dovuta essere udienza durante il periodo di 14 giorni previsto dal primo comma.
I sostenitori di questa tesi hanno evidenziato che la sospensione non riguarderebbe qualsiasi procedimento pendente, ma solo quelli che, oltre ad essere pendenti, avrebbero già avuto un’udienza fissata nel suddetto periodo.
Ciò dipenderebbe dalla lettera della norma, la quale al fine di individuare le cause per cui sarebbe efficace la sospensione dei termini, opera un rinvio al comma precedente.
Ebbene, a mio modesto avviso la lettera della norma non consente affatto una simile interpretazione, laddove il comma 1 chiaramente stabilisce che “le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari, con le eccezioni indicate all’articolo 2, comma 2, lettera g), sono rinviate”.
Questo vuol dire che vengono presi in considerazione tutti i procedimenti pendenti e che se per essi è prevista un’udienza nel periodo compreso tra il 9 e il 22 marzo, tale udienza deve essere rinviata.
Tra l’altro, i destinatari di questa disposizione sono gli stessi uffici giudiziari, ai quali è sostanzialmente chiesto di emanare specifici provvedimenti per consentire la sicura prosecuzione dei giudizi.
Dal canto suo il secondo comma prevede che “sono sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti indicati al comma 1”, ponendo così l’accento sui procedimenti, indipendentemente dal momento in cui è prevista l’udienza.
Probabilmente la diversa interpretazione è il frutto della lettura di una qualche parafrasi giornalistica e non dello specifico testo della norma.
Non vi è infatti alcun motivo per escludere i procedimenti civili e penali che non hanno udienze fissate nel suddetto periodo di 14 giorni, limitandosi la legge a prevedere la loro pendenza ed una specifica eccezione, che individua per materia i procedimenti esclusi in quanto urgenti, a cui si aggiungono quelli che con provvedimento del giudice sono ritenuti tali.
Inoltre si deve evidenziare che se la norma prevedesse la sospensione dei termini processuali per i soli procedimenti con udienza fissata tra il 9 e il 22 marzo, la sua portata operativa sarebbe pressoché nulla e ciò contrasterebbe con lo spirito del decreto.
Infatti, quali termini potrebbero essere interessati? Si potrebbe pensare a un termine per note fissato a 10 giorni dall’udienza. Ebbene non ci sarebbe l’udienza! Potrebbe esserci un termine di 10 giorni prima dell’udienza, ma questo sarebbe un termine a ritroso e la norma – come si avrà modo di precisare in seguito – non può comportare l’introduzione di un termine già scaduto, che sarebbe impossibile da rispettare.
Nel processo civile ordinario si potrebbe ipotizzare la scadenza in data 9 marzo di una memoria ex art. 183 c.p.c. con successiva udienza già fissata per il 20 marzo. Questa, che allo stato mi sembrerebbe l’unica ipotesi possibile, è tuttavia statisticamente molto improbabile, poiché quasi mai nei tribunali italiani viene concesso un così breve lasso di tempo tra il deposito di un atto di parte e la successiva udienza.
A sostegno dell’interpretazione qui sostenuta, secondo cui sarebbero sospesi tutti i termini processuali dei giudizi pendenti, è possibile richiamare la relazione sul Disegno di Legge per la conversione del D.L. n. 11/2020, la quale precisa che “il comma 2 dello stesso articolo 1, con disposizione di portata generale, riferita a tutti i procedimenti e processi civili e penali pendenti (anche quando non sia fissata udienza nel periodo interessato), dispone la sospensione di tutti i termini per il compimento di qualsiasi attività processuale, ivi inclusi gli atti di impugnazione”.
Ciò posto, occorre a questo punto soffermarsi sul rinvio alla disciplina della sospensione feriale, che nell’ambito del processo ordinario è del tutto assente, mentre viene chiaramente operato in quello amministrativo mediante l’art. 3 del D.L. n. 11/2020.
Alla base della scelta mi sembra possibile individuare due motivi, il primo di carattere politico, probabilmente teso a non evidenziare l’introduzione di proroghe nella già lunga e chiacchierata tempistica dei processi ordinari.
Il secondo motivo mi appare più tecnico, ovverosia che la sospensione feriale riguarda non solo i termini successivi, ma anche – come già accennato – quelli a ritroso, sui quali è necessario effettuare alcune precisazioni.
Non avendo la presunzione di trattare l’argomento con riferimento al processo amministrativo, mi limito ad osservare che il rispetto del periodo di sospensione nei procedimenti di giustizia ordinaria non è possibile per i termini a ritroso.
Infatti (anche se tante volte vorremmo), non è possibile tornare indietro nel tempo. Se per esempio ci fossimo dovuti costituire in un giudizio introdotto ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., per il quale era stata fissata la prima udienza in data 20 marzo, il nostro termine per la costituzione tempestiva sarebbe scaduto il 10 marzo, ma per effetto della sospensione dovrebbe retrocedere addirittura al 25 febbraio.
A questa considerazione fisica se ne aggiunge una giuridica, ovverosia la corretta applicazione del principio del tempus regit actum.
Com’è noto, in base a questo principio l’atto processuale è soggetto alla disciplina vigente nel momento in cui viene compiuto, anche se questa è successiva all’introduzione del giudizio.
Ma tale regola di carattere generale non può operare nel senso di ritenere tardivo il deposito effettuato, nel suddetto esempio, il 10 marzo, poiché la retroattività della norma, oltre a non essere stata specificata dal legislatore, violerebbe i principi fondamentali dell’ordinamento, come l’art. 25 della Costituzione o quelli dettati in materia tributaria, nonché il più generale divieto di inibire o rendere più gravoso l’esercizio dei diritti.
Ritengo quindi che il periodo di sospensione non vada conteggiato nel calcolo dei termini a ritroso, la cui scadenza resterà quella prevista prima dell’introduzione del D.L. n. 8/2020.
A tal proposito vorrei precisare che la conclusione riguarda sia le attività da compiere telematicamente che quelle da realizzare in modo fisico, in quanto i termini processuali rispondono ad un interesse di ordine pubblico e non è possibile configurare un diverso regime a seconda delle modalità operative del singolo ufficio giudiziario, con la conseguenza che – stante l’attuale quadro normativo – dovrà essere consentito agli avvocati di effettuare depositi cartacei presso i giudici di pace e la Corte di Cassazione.
È dunque possibile riassumere le precedenti considerazioni, concludendo che la sospensione prevista dal secondo comma dell’art. 1 del D.L. n. 11/2020 riguarda tutti i procedimenti civili e penali pendenti (con le sole eccezioni previste dall’art. 2) ed opera con riferimento ai soli termini processuali successivi la cui decorrenza è compresa nel periodo di 14 giorni indicato dalla norma.