Tra le molteplici disposizioni introdotte dal nuovo decreto Rilancio (D.L. n. 34 del 19 maggio 2020) particolare attenzione merita il rifinanziamento del cd. reddito di ultima istanza previsto dai decreti “Cura Italia”.
Si tratta di un’iniezione di liquidità per i professionisti appartenenti a un ordine, che – sempre tramite le rispettive Casse di previdenza – potranno acquisire un nuovo bonus da 600 euro per ciascuno dei mesi di aprile e maggio (art. 78).
A fronte del rinnovo, i professionisti iscritti alle Casse sono stati invece esclusi dalla possibilità di fruire del contributo a fondo perduto introdotto dal medesimo decreto per gli altri titolari di partita IVA (art. 25).
Come si avrà modo di precisare in seguito, questo finanziamento consente di ottenere un importo sicuramente maggiore rispetto ai bonus, con la conseguenza che è lecito domandarsi il perché di tale sperequazione.
Tuttavia, è bene ricordare che la norma di cui si discute è un decreto legge, per cui non è affatto escluso che questa scelta iniziale venga modificata in sede di conversione.
Il vecchio bonus professionisti
Prima di introdurre le novità di cui al decreto Rilancio, è bene ribadire che l’art. 44 del decreto “Cura Italia” (D.L. n. 18/2020, convertito con L. n. 27/2020) ha istituito il Fondo per il “reddito di ultima istanza” a favore dei professionisti iscritti alle Casse di previdenza professionale. Il conseguente decreto attuativo aveva destinato 200 milioni di euro (poi incrementati di ulteriori 80 milioni con decreto del 30 aprile 2020), al fine di erogare attraverso le rispettive Casse di previdenza un bonus, una tantum, per il mese di marzo, pari a 600 euro.
Il decreto attuativo aveva inoltre stabilito i criteri e le modalità di attribuzione del bonus, precisando che l’importo doveva essere erogato in favore dei professionisti, che per il 2018 avevano dichiarato un reddito complessivo:
– non superiore a 35.000 euro, se l’attività è stata limitata dai provvedimenti “anti Covid”;
– tra 35.000 euro e 50.000 euro per cessazione dell’attività (con chiusura della partita IVA nel periodo compreso tra il 23 febbraio 2020 e il 31 marzo 2020), o per riduzione o sospensione dell’attività lavorativa (a tal fine occorreva una comprovata riduzione di almeno il 33% del reddito del primo trimestre 2020 rispetto al reddito del primo trimestre 2019).
Il D.L. n. 23/2020 aveva poi precisato che il bonus una tantum per il mese di marzo poteva essere richiesto dagli iscritti alla Cassa previdenziale erogante non titolari di pensione.
L’agevolazione, che non concorreva alla formazione del reddito imponibile, risultava incompatibile con la fruizione delle altre agevolazioni previste dal decreto Cura Italia (artt. 19, 20, 21, 22, 27, 28, 29, 30, 38 e 96 del D.L. n. 18/2020).
I nuovi bonus del decreto Rilancio
Il decreto Rilancio ripropone il precedente bonus ed aggiorna la normativa del precedente Cura Italia (nonché il D.L. n. 23/2020). In particolare, al fine di riconoscere “anche per i mesi di aprile e maggio 2020” il bonus di 600 euro ai professionisti iscritti alle Casse di previdenza professionale, il decreto:
1) porta da 300 a “1.150 milioni” lo stanziamento del relativo Fondo;
2) aumenta da 30 a 60 giorni il termine per l’adozione del decreto interministeriale attuativo.
Quanto ai requisiti per ottenere l’agevolazione, la nuova norma dispone che alla data della domanda i richiedenti non devono essere:
a) titolari di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;
b) titolari di pensione (con l’eccezione dell’assegno ordinario di invalidità ex L. n. 222/1984, con evidente sperequazione rispetto ai professionisti che fruiscono dell’analoga pensione d’invalidità erogata dalle Casse professionali).
Rispetto al bonus di marzo è stata eliminata l’obbligatorietà dell’iscrizione esclusiva alla sola Cassa di previdenza alla quale si fa domanda.
Permane invece il divieto di cumulo. Infatti il bonus non può aggiungersi alle altre agevolazioni erogate dall’INPS ed è incompatibile con i trattamenti di disoccupazione NASpI e DIS-COLL, oltre che con il già citato contributo a fondo perduto, istituito dal medesimo decreto a favore dei soggetti titolari di reddito d’impresa e di lavoro autonomo aventi partita IVA.
Il nuovo contributo a fondo perduto
Per sostenere i soggetti colpiti dall’emergenza epidemiologica l’art. 25 del decreto Rilancio riconosce un contributo a fondo perduto a favore dei soggetti esercenti attività d’impresa, che svolgono lavoro autonomo, o che percepiscono reddito agrario, titolari di partita IVA, la cui attività non risulti cessata alla data di presentazione della domanda e che non siano iscritti alle Casse di previdenza professionale.
Il contributo spetta a condizione che l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 sia inferiore ai 2/3 di quelli di aprile 2019.
L’importo è determinato applicando le seguenti percentuali alla differenza tra l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi di aprile 2020 e quelli di aprile 2019:
a) 20% per i soggetti con ricavi o compensi non superiori a 400.000 euro nel periodo d’imposta precedente a quello in corso;
b) 15% per i soggetti con ricavi o compensi superiori a 400.000 euro e fino a 1.000.000 di euro nel periodo d’imposta precedente;
c) 10% per i soggetti con ricavi o compensi tra 1.000.000 e 5.000.000 di euro nel periodo d’imposta precedente.
Ad esempio: in caso di ricavi inferiori a 400.000 euro nel 2019 e un fatturato di 40.000 euro nel mese di aprile 2019 e pari a 0 nell’aprile 2020, si avrà diritto ad un sostegno del 20%, calcolato sulla differenza tra i due periodi di imposta che, nel caso di specie, è pari a 40.000 euro. Il contributo a fondo perduto erogabile sarà dunque pari a 8.000 euro.
È previsto comunque un importo minimo di 1.000 euro per le persone fisiche e di 2.000 euro per i soggetti diversi dalle persone fisiche.
Come per i precedenti bonus, la somma erogata non concorre alla formazione della base imponibile delle imposte sui redditi.
Per concludere, vale la pena osservare che in ambito comunitario i liberi professionisti sono qualificati come imprenditori, è pertanto incomprensibile la loro esclusione dalla fruizione di questo contributo.
Sarebbe dunque auspicabile, anche in ragione dei “tempi lunghi” concessi per l’adozione del decreto di attuazione (coincidenti con quelli di conversione del decreto legge), che il Governo “aggiusti il tiro” e provveda in sede di conversione a sanare questa inspiegabile sperequazione.
In ogni caso, deve ritenersi necessario estendere la compatibilità del bonus di 600 euro alle pensioni di invalidità erogate dalle Casse di previdenza professionale. È evidente, infatti, che un professionista invalido fruisce del trattamento erogato dalla propria Cassa professionale e non dell’assegno proveniente dall’INPS, alla quale normalmente non è iscritto.