Con sentenza n. 12154/2021 le Sezioni Unite della Suprema Corte sono intervenute sull’annosa questione del dies a quo del termine di 3 mesi per la riassunzione del processo interrotto a causa del fallimento di una delle parti costituite.
In particolare, è stato espresso il principio secondo cui “in caso di apertura del fallimento, ferma l’automatica interruzione del processo (con oggetto i rapporti di diritto patrimoniale) che ne deriva ai sensi della L.Fall., art. 43, comma 3, il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione, per evitare gli effetti di estinzione di cui all’art. 305 c.p.c. e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità ai sensi della L.Fall., artt. 52 e 93 per le domande di credito, decorre da quando la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte; tale dichiarazione, ove già non conosciuta nei casi di pronuncia in udienza ai sensi dell’art. 176 c.p.c., comma 2, va direttamente notificata alle parti o al curatore da ogni altro interessato ovvero comunicata – ai predetti fini – anche dall’ufficio giudiziario, potendo inoltre il giudice pronunciarla altresì d’ufficio, allorché gli risulti, in qualunque modo, l’avvenuta dichiarazione di fallimento medesima”.
Come è noto, in seguito alla modifica dell’art. 43 della legge fallimentare, secondo cui la dichiarazione di fallimento produce l’automatica interruzione dei processi in cui è parte il soggetto fallito, ed in ossequio al principio di matrice costituzionale secondo cui l’effetto automatico non fa decorrere il dies a quo per la riassunzione dalla data dell’evento interruttivo, ma dalla conoscenza (effettiva) dello stesso in capo al soggetto che ha interesse a coltivare il processo, si era formata una moltitudine di orientamenti giurisprudenziali, che declinavano in diverso modo il principio per il quale il dies a quo inizia a decorrere dalla conoscenza legale dell’intervenuto fallimento.
Tale situazione ha comportato notevoli problemi pratici, tenuto conto della varietà dei casi e dei modi in cui può configurarsi la conoscenza legale in capo al curatore fallimentare, ovvero alle altre parti del giudizio non colpite dall’evento interruttivo.
Maggiore coerenza interpretativa era riscontrabile nelle pronunce in cui la Cassazione ha rinvenuto la conoscenza legale nella “dichiarazione giudiziale d’interruzione per intervenuto fallimento della parte, le più congrue forme di produzione della conoscenza, in correlazione con gli istituti partecipativi di tale atto, esprimendo piena sintonia con la precisa scelta di certezza e garanzia per la difesa di tutte le parti del processo” (Cass. n. 5288/2017; Cass. n. 9016/2018).
Tuttavia non sono mancate sofisticate pronunce in cui la Suprema Corte ha attribuito un valore meramente ricognitivo alla dichiarazione di interruzione effettuata dal giudice.
Ponendo fine alle incertezze operative derivanti dal conflitto interpretativo, le Sezioni Unite hanno chiaramente individuato nella dichiarazione giudiziale di interruzione del processo il diesa a quo dal quale far decorrere il termine trimestrale previsto dall’art. 305 c.p.c.
Sul punto, vale la pena osservare che quanto affermato dal Giudice di Legittimità coincide con quanto disposto dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, secondo il quale ove si apra un procedimento di liquidazione giudiziale nei confronti di una parte costituita, il processo si interrompe automaticamente e il termine per la riassunzione decorre da “quando l’interruzione viene dichiarata dal giudice”.